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Ugorskaja ed il sublime Clavier

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Messaggio Da sordo Gio Ago 27, 2020 8:30 pm

Ugorskaja ed il sublime Clavier 2aff7810


Quanta impressione mi fece al primo ascolto il Clavier vol primo, riascoltarla conferma la vitalità di questa visione che prende spunto dalla tradizione interpretativa(tureck) innovandola sia nel suono che nel fraseggio che nelle dinamiche.
Qui tutto è bello e civile(penso a certe dinamiche urlate o a certi fraseggi che definire volgari e poco) , fluisce in maniera perfetta e chiara.
Il preludio 849 è un capolavoro di dizione , di chiarezza , di bel suono , di espressività corretta mai eccessiva , di gusto.Il canto è sommesso , rispettoso.
La fuga si dispiega calma e meditativa , le voci sono di una chiarezza unica , nessuna urgenza la porta a correre verso la fine , cesella e respira , fuga non significa correrete.
Che bella anche la fuga 850 , chiara e serena l’esposizione , il canto è di un gusto raro.
Il preludio ( e pure la fuga )852 è (sono)un capolavoro interpretativo , la U. lo rende metafisico , lento ma con un legato pazzesco fino ad arrivare all’esposizione della destra che canta , CANTA , come non mai abbiamo sentito.Non c’è alcuna fretta , deliba felice.(ci ha messo pure dei rallentandi )
853 ci avvicina a quello che sarebbe stato l’Arte della Fuga.
854 delicatezza e stile.
855 capolavoro di fraseggio(sà pure correre)
856 ascolta i trilli(sono meglio di alcuni capolavori Gouldiani)
858 altro capolavoro di dizione , si sarà capito che questa edizione è di riferimento assoluto?
Da porre a fianco di quella di Gulda e Afanassiev.
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Messaggio Da sordo Ven Mar 19, 2021 12:45 pm

Ormai è passato un anno da quando ascoltai la 960 interpretata da Dina,,,
mi fece una gran bella impressione,,,,,
Molto moderato è molto,,,lento e la dinamica con cui abbozza il tema non è forte , un canto delicato e calmo.
Non è la classica interpretazione dove si tenta di spaccare il pianoforte , Dina fà contare le pause ed il suo canto è corposo , recitato sottovoce , e delibato,,
le note ripetute tengono una dinamica che non supera mai il forte.
L’espressione è centrata in una sorta di meditata tristezza Schubertiana.
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