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Messaggio Da sordo Mar Gen 25, 2022 11:00 am

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 Negli anni ’60 il Partito socialdemocratico allora egemone (PvdA) organizzava concerti a base di Bach, Beethoven e Brahms per «tenere i lavoratori lontano dall’osteria» e permettere a chiunque di conoscere le somme realizzazioni della cultura musicale occidentale. Trent’anni dopo l’azione combinata del relativismo di sinistra («tutte le culture si equivalgono») e del neoliberismo di destra («se volete feste musicali pagatele di tasca vostra») ha dato inizio ad una rapida erosione dell’infrastruttura culturale in Olanda. Scuole di musica, orchestre, biblioteche sono scomparse oppure si sono «adeguate al mercato». In anni più recenti l’istanza politica delle pari opportunità, in sé una nobile battaglia contro le discriminazioni di razza e di sesso, ha causato nuove pericolose distorsioni. Una rilevazione statistica sui BBC Proms, condotta dalla compositrice britannica Joanna Ward, lamenta che nella stagione corrente le nuove commissioni sono andate per il 45% a donne, ma per una durata media di soli 13,5 minuti contro 21 per i maschi. L’autrice conclude che nella musica contemporanea sopravviverebbe una «egemonia patriarcale». Dunque si devono introdurre «quote rosa» (o nere, o gialle) ancor più rigide o non sarebbe meglio procedere a concorsi in busta chiusa?

Ma se la signora Ward analizza le pratiche attuali, le sue colleghe più estremiste prendono di mira il passato con l’obiettivo di adeguare anche quello alle loro norme politiche. Non ci sono fra i compositori del primo Settecento equivalenti neri o femminili di un Bach? Le/i radicali rispondono che Bach è stato collocato su un piedistallo fin troppo alto dai nazionalisti tedeschi dell’Ottocento. Sul «Daily Telegraph» del 15 aprile scorso Lucy Noble, direttrice artistica della Royal Albert Hall, sostiene che il dominio dei «titani maschi e bianchi» è responsabile per il disinteresse dei giovani verso la musica classica. Giusto richiamare l’attenzione sulla musica delle donne e delle minoranze, ma così si butta il bambino con l’acqua sporca subordinando i valori artistici a considerazioni politiche. Sostiene Kees Vlaardingerbroek: «Considerare Bach un genio assoluto senza trascurare la sua contemporanea Camilla de Rossi, come io ho cercato di fare nell’ambito della ZaterdagMatinee, è opzione inaccettabile per quei circoli». E così conclude: «È un equivoco pensare che il “nostro” passato vada riscritto o cancellato per via dei suoi innegabili lati oscuri. Questi non vanno negati, bensì discussi con equilibrio. Al contempo è cinico e distruttivo non riconoscere che la storia della musica occidentale ha prodotto ricchezze incommensurabili. Godiamole in pieno senza sensi di colpa».

Kees Vlaardingerbroek (redazione di Carlo Vitali)
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Messaggio Da sordo Mar Gen 25, 2022 11:05 am

Carlo vitali ha scritto:. Dalla liberale Olanda ci giunge ai primi di giugno l’eco di una polemica. La regista Lotte de Beer, una bella signora di 36 anni che ha già allestito opere a Vienna e New York, si è accorta che il libretto del Flauto magico contiene espressioni razziste e misogine. Ad esempio: «weil ein Schwarzer hässlich ist» (perché un Negro è brutto; Monostatos), oppure «ein Weib tut wenig, plaudert viel» (Una donna fa poco, ciarla molto; il Sacerdote), e tante altre.

«Cosa sta scritto qui, in nome di Dio?» si è chiesta la sensibile artista, la quale, per purificare il capolavoro da tali retrograde schifezze, ha commissionato alla studentessa e scrittrice Eva Peek un nuovo libretto politically correct, andato in scena il 21 aprile al Compagnietheater di Amsterdam. Dopodiché le rieducatrici di Schikaneder & Mozart hanno dilatato vieppiù la propria missione salvifica: «Supponiamo che nel Flauto magico ci sia un orrendo testo omofobico. E che un famoso regista gay dica: ‘Di questi tempi, quando i gay sono picchiati per la strada…”». Abbiamo capito, ce l’hanno col duetto Pamina-Papageno che esalta il matrimonio fra uomo e donna come scala di ascesa alla divinità: «Mann und Weib/ und Weib und Mann», ecc. Seguiamole su questo piano inclinato. Se un regista turco obiettasse alla sortita di Otello e la riscrivesse così: «Ululate!/ L’onesto musulmano sepolto è in mar./ Tutta nostra è la colpa;/ imploriamo il perdono del Sultano»? Senza dire dello «stolto Allah» nei Lombardi, che dovrebbe diventare «grande Allah», o meglio ancora «Allah u-akbar». Precedente: il Coro degli Zingari (pardon! dei Rom) nel Trovatore, di cui nei primi anni Settanta un Kulturbonze della DDR aveva cucinato una bella versione antifranchista: «Qual è lo scopo di nostra campagna?/ Libera Spagna, Libera Spagna!». Le odierne sparate delle due signore, propalate in varie riprese dal quotidiano «Nieuwe Rotterdamsche Courant», hanno suscitato sul medesimo giornale le motivate obiezioni del musicologo Kees Vlaardingerbroek, specialista di Settecento e attuale direttore artistico, fra l’altro, di Coro e Orchestra filarmonica della Radio nazionale olandese. Rimandando al suo articolo completo, ne offriamo qui una breve sintesi: «Negli anni del nazismo era obbligatorio cancellare ogni traccia culturale e storica degli Ebrei. Così la storia ebraica scomparve dall’oratorio italiano La Betulia liberata (dal libro biblico di Giuditta), che fu corredato di un nuovo libretto tedesco nel quale prendevano vita Attila e Crimilde, eroi della saga germanica. Lo stesso destino toccò ad innumerevoli altre opere e oratorii di soggetto ebraico. Dovremo ogni dieci o vent’anni adattare l’opera d’arte a ciò che in quel dato momento è politicamente corretto? Che taluni argomenti e idee non debbano trovar posto in un’opera d’arte è un concetto errato. Qualcuno l’ha già detto: la grande arte respira il soffio, e sì, anche le nostre emozioni più oscure. E un’arte riservata ai cittadini modello sarebbe un misera arte. Per meglio dire: kitsch. Ritenere responsabile l’autore per le affermazioni dei suoi personaggi è un altro concetto errato. Non neghiamo all’artista la libertà di rappresentare i dissenzienti, per quanto abbietti possano apparire sulla scena. Inoltre il regista ha altri mezzi per offrire una visione attualizzata di una certa opera. Testo e musica del Flauto magico formano un insieme unico e sono un fatto storico. Ma lo stesso non vale — o almeno non vale certo in egual misura — per la regia. Naturalmente Lotte de Beer è libera di esplicitare il proprio dissenso dalle espressioni sessiste e razziste. Lo chiarisca nella regia o nella scenografia, ma lasci intatta l’opera d’arte». Chiediamo al paziente lettore: sono le riflessioni di un nemico del cosiddetto teatro musicale moderno, cioè dell’ottuso Zeitgeist eretto a pensiero unico? Oppure semplice buonsenso?

Carlo Vitali
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